Homebrewing – Parte 2

il racconto della birra_cop.inddAll Grain

Questo termine indica il metodo di produzione che utilizza come ingrediente principale il malto d’orzo in grani ed è quello comunemente utilizzato in qualunque birrificio artigianale e industriale. Uno dei vantaggi a favore della tecnica all grain sta nei costi del malto d’orzo. Questo, infatti, è più economico rispetto all’estratto di malto. Altro vantaggio sta nella qualità del prodotto finito, sicuramente di livello superiore. Di contro, per produrre birra utilizzando la tecnica all grain, è necessaria un’attrezzatura aggiuntiva con conseguente aumento della spesa. Inoltre la durata del processo aumenta fino ad arrivare a 6-7 ore complessive.

Il risultato finale si può dire pienamente soddisfacente.  Infatti, con il metodo all grain è possibile fare birra partendo dal malto, progettandola e realizzandola su misura e scegliendo fra l’ampia varietà di colori e sapori dei malti e degli altri ingredienti.

Il resto del capitolo analizzerà i vari aspetti di questa tecnica di produzione spiegando i singoli passaggi fino ad arrivare all’ultima fase che è quella dell’imbottigliamento. Si tenga presente che il procedimento descritto riguarda l’alta fermentazione: la realizzazione casalinga di una birra a bassa fermentazione All Grain richiede competenze superiori.

Analizziamo prima però l’attrezzatura richiesta.

Attrezzatura

Rispetto a quanto descritto per le tecniche da kit ed E + G, per la tecnica all grain saranno necessarie ulteriori attrezzature.

Per prima cosa occorre poter macinare il malto d’orzo tramite l’impiego di un mulino. È forse l’elemento più costoso, ma ha un ruolo fondamentale nell’intero processo perché da esso dipende una adeguata macinazione dei grani. Questi dovranno essere schiacciati e non tritati senza che venga creata troppa farina. Il mulino più idoneo è quello a rulli facilmente reperibile in commercio.

Una pentola per l’ammostamento dei grani, oltre a quella già descritta per la fase di bollitura. Per migliorare il processo di produzione è utile applicare, internamente alla pentola, un cestello bucherellato oltre a un rubinetto per lo scarico del liquido. Quest’accorgimento facilita notevolmente la fase di recupero del mosto separando la parte liquida (mosto) da quella solida (trebbie).

In alternativa è possibile realizzare sistemi di filtraggio che non richiedono grosse spese economiche, come per esempio lo “zapap”[1]. Consiste nell’utilizzo di due secchi di plastica per alimenti che possono incastrarsi uno dentro l’altro. Il secchio interno verrà forato alla base mentre, il secchio esterno, verrà fornito di un rubinetto per lo scarico. Un’altra possibilità, consiste nel trasformare una comune ghiacciaia da pic-nic. In questo caso bisogna forare la ghiacciaia alla base per poter applicare un rubinetto. Occorre poi costruire un filtro da disporre al suo interno. Si tratta di un tubo di gomma da inserire nella parte interna del rubinetto di scarico. Questo tubo deve essere dotato di una serie di fori  di lunghezza 1-2 mm distanziati tra loro per 1-1,5 cm.

È importante infine utilizzare un sistema di raffreddamento del mosto perché, con questa tecnica, l’intero quantitativo di acqua raggiunge alte temperature[2] (100°C). In commercio esistono alcune soluzioni per raffreddare il mosto. Una di queste è una serpentina in metallo (solitamente in rame) collegabile a un flusso di acqua da immergere nel mosto bollente. L’acqua viene fatta scorrere al suo interno determinando uno scambio termico tra l’acqua fredda e il mosto bollente. In alternativa si può immergere la pentola, contenente il mosto bollente, in una vasca d’acqua gelida in modo da favorire, il più velocemenete possibile, lo scambio termico.

Non strettamente necessari, ma comunque consigliati sono:

la tintura di iodio. Il suo scopo è quello di verificare la corretta conversione dell’amido in zuccheri durante la fase di ammostamento. La tintura di iodio a contatto con l’amido acquista una colorazione nerastra (cosa che non avviene quando è a contatto con gli zuccheri). In questo modo, si può verificare se tutto l’amido è stato trasformato. Se il colore diventa rossastro, la conversione è avvenuta con successo mentre, se diventa nerastra, bisogna continuare ancora la fase di ammostamento. Attenzione: la tintura di iodio è tossica, quindi non rimettere nella pentola il contenuto di mosto impiegato per la verifica!

Un test di misurazione del pH. Il valore del pH, ovvero dell’acidità, può essere verificato attraverso un apparecchio chiamato “pHmetro”. Alternativamente possono essere usate le classiche cartine tornasole facilmente reperibili, oltre presso i classici rivenditori di materiale per homebrewing, nei negozi di attrezzatura per acquari. Monitorare i livelli di pH è importante, come vedremo più avanti, per garantire la corretta attivazione di particolari enzimi.

Pulizia e sanitizzazione

La riuscita di una buona birra dipende dalla pulizia e sanitizzazione di qualunque cosa entri in contatto con il mosto. Con il termine pulizia si intende la rimozione di materiale organico dalla strumentazione e dalle attrezzature mediante l’impiego di detergenti. La sanitizzazione si occupa invece di eliminare la maggior parte di agenti patogeni, come batteri e lieviti selvaggi.

Applicare queste due fasi al processo produttivo è importante perché si abbassano i rischi di contaminazione. Infatti, il mosto è un’eccellente fonte di nutrienti utili alla vita di molti organismi, non solo dei lieviti. Qualsiasi organismo che finisce nel mosto inizia a crescere, producendo sottoprodotti metabolici che portano ad aromi e sapori normalmente non associati alla birra. Per questo è fondamentale prendere tutte le precauzioni per evitare di contaminare la birra con agenti esterni indesiderati.

Sanitizzare non significa sterilizzare come spesso si intende. La sterilizzazione è il risultato finale di procedimenti fisici e/o chimici che, attraverso metodologie standardizzate, hanno come obiettivo la distruzione di ogni microrganismo vivente, sia esso patogeno o no, in fase vegetativa o di spora.

Come verrà spiegato più avanti, con la fase di bollitura si effettua una sterilizzazione del mosto. Riguardo alla pulizia e alla sanitizzazione dell’attrezzatura si possono utilizzare tanti prodotti reperibili in commercio come

Soda caustica: ottimo per bottiglie incrostate. Se lasciata a contatto per qualche ora con l’attrezzatura è in grado di eliminare le incrostazioni derivanti dal mosto

Solvay o carbonato di calcio: usato in soluzione acquosa calda è ottimo per sgrassare bicchieri ed elementi in vetro

Ipoclorito di sodio: è la comune candeggina. È un sanitizzante molto comune ed economico. Si utilizza lasciando a contatto l’attrezzatura per 20-30 minuti in una soluzione dello 0,2%, ossia circa un cucchiaio ogni 10 litri di acqua. L’attrezzatura va successivamente sciacquata con abbondante acqua calda.

Metabisolfito di potassio: non è efficacie come sanitizzante, ma il suo utilizzo impedisce fermentazioni secondarie o anormali. Ha proprietà riducenti e antisettiche.

[1]Il nome deriva da Charlie Papazian, decano degli homebrewer americani. Pare sia stato lui a inventare questo semplice ma efficace sistema di filtraggio

[2] Il mosto a temperatura di ebollizione è sterile, ma a temperature più basse può essere suscettibile a infezioni. Quindi maggiore è il tempo impiegato per raffreddare il liquido maggiore sarà la probabilità che si infetti.

Tratto da Il racconto della Birra – autore Giovanni Bruno

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